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La principale fonte di disordine economico

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Sono specializzato in teoria economica delle organizzazioni — la loro natura, nascita, confini, struttura interna e governance — un campo che è sempre più importante in economia ed è stato riconosciuto con il Premio Nobel 2009 assegnato a Oliver Williamson e Elinor Ostrom. (Ronald Coase, fondatore del campo, è anche un premio Nobel.) Gran parte della mia ricerca recente riguarda l’economia dell’imprenditorialità ed il carattere imprenditoriale delle organizzazioni, sia private che pubbliche. Come imprese commerciali, enti pubblici come legislatori, tribunali, agenzie governative, università pubbliche e imprese sponsorizzate dal governo che cercano di raggiungere particolari obiettivi e possono innovare per conseguirli in modo più efficiente.[1] Gli enti pubblici, come le loro controparti a scopo di lucro, possono agire in modo imprenditoriale: sono in allerta per percepire le opportunità di guadagno, private o sociali, pecuniarie o meno. Hanno il controllo delle risorse produttive, sia pubbliche che private e devono esercitare un giudizio sulla distribuzione di queste risorse in particolari combinazioni sotto condizioni di incertezza. Naturalmente, ci sono importanti differenze tra le organizzazioni pubbliche e private — gli obiettivi possono essere complessi e ambigui, la prestazione è difficile da misurare  e alcune risorse sono acquisite attraverso la coercizione, non con il consenso.

Nei commenti qui sotto ho valutato il Sistema della Federal Reserve — e l’istituzione del sistema a banca centrale più in generale — secondo il punto di vista di un’economista organizzativo. Mentre sono assolutamente d’accordo con molte delle politiche chiave del Consiglio della Federal Reserve, sia prima che dopo la crisi finanziaria e la Grande Recessione, la mia tesi non si concentra su particolari azioni adottate da questa o quella poltrona e consiglio. Il problema non è tanto che la FED abbia commesso degli errori — forse commessi riaffermando il proprio mandato statutario, scrutando il proprio comportamento con più attenzione, e così via — ma che l’istituzione di un’autorità monetaria centrale è di per sé destabilizzante e dannosa per l’imprenditorialità e la crescita economica.

Una banca centrale è un ente governativo responsabile del sistema monetario — un’entità che “controlla l’offerta di moneta,” in termini profani — con il compito di mantenere “la stabilità dei prezzi,” raggiungere la “piena occupazione” delle risorse dell’economia e altri obiettivi nazionali di performance economica. (La Federal Reserve è incaricata in modo esplicito della realizzazione sia della stabilità dei prezzi che della piena occupazione, il cosiddetto doppio mandato ormai in discussione da proposte provenienti dai Parlamentari Pence e Brady.[2]) La FED, come le altre banche centrali moderne, funge anche da “prestatore di ultima istanza” con il compito di proteggere il sistema finanziario da corse agli sportelli e da altri tipi di panico, rimanendo pronta a fare prestiti alle banche commerciali, utilizzando  fondi che vengono creati istantaneamente, dal nulla, con un semplice clic del mouse.

Il lavoro della banca centrale, in breve, è quello di “gestire” il sistema monetario. Come tale, è la più importante agenzia di pianificazione economica in un’economia moderna. Il denaro è un bene universalmente utilizzato e il mercato dei prestiti, attraverso il quale il denaro creato da poco entra nell’economia, è al centro del processo d’investimento. Ironia della sorte, anche se l’economia insegna chiaramente l’impossibilità di un’allocazione efficiente delle risorse da parte di un pianificatore economico centrale, come dimostrato (teoricamente) negli anni ’20 e ’30 da economisti come Ludwig von Mises e F.A. von Hayek,[3] e (empiricamente) dal fallimento universalmente riconosciuto delle economie pianificate nel corso del XX secolo, molte persone pensano che il sistema monetario sia un’eccezione al principio generale che il libero mercato è superiore alla pianificazione centrale. Quando si parla di moneta e banche, in altre parole, è essenziale disporre di un unico organo decisionale, al riparo dalla concorrenza, senza alcuna supervisione, in possesso di pieni poteri in modo che possa intraprendere quasi tutte le azioni che ritiene nel miglior interesse della nazione. L’organizzazione dovrebbe essere gestita da un corpo d’élite di tecnocrati apolitici solo con l’interesse pubblico in mente.

Eppure tutto quello che sappiamo sulle organizzazioni con quel tipo di autorità, senza supervisione o qualsiasi controllo esterno o equilibrio, è che non possono funzionare bene. Proprio come i pianificatori centrali deficitano degli incentivi e delle informazioni per dirigere l’allocazione delle risorse produttive, così i pianificatori monetari deficitano degli incentivi e delle informazioni per prendere decisioni efficaci sulle operazioni di mercato aperto da effettuare, sul  tasso di sconto e sulla riserva obbligatoria. La FED semplicemente non conosce l’offerta “ottimale” di denaro o l’intervento “ottimale” nel sistema bancario, nessuno lo sa. Aggiungete i problemi standard della burocrazia — sprechi, corruzione, lungaggini e altre forme di inefficienza ben note agli studenti della pubblica amministrazione — e diventa sempre più difficile giustificare il controllo del sistema monetario da parte di un singolo ente burocratico.[4]

Ciò è particolarmente vero quando il bene in questione è il denaro, l’unico bene che viene scambiato per tutti gli altri beni, il che significa il bene in cui sono espressi tutti i prezzi. La cattiva gestione dell’offerta di moneta non solo influisce sul livello generale dei prezzi, ma distorce i prezzi relativi dei vari beni e settori, rendendo più difficile agli imprenditori valutare i benefici e i costi delle varie forme di azione, portando ad investimenti improduttivi, sprechi e stagnazione. L’inflazione dei prezzi premia i debitori, mentre punisce i risparmiatori, così come i tassi d’interesse artificialmente bassi ricompensano i proprietari di abitazioni, mentre puniscono gli affittuari.

Invece, le forze di mercato devono determinare i livelli di credito e di risparmio, di proprietà e di affitto e dell’attività imprenditoriale. In altre parole, il sistema monetario è così importante che non può essere affidato a un ente governativo — anche un’organizzazione scientificamente illustre, nominalmente indipendente e prestigiosa come la Federal Reserve.

I critici della politica monetaria discrezionale sono a favore di regole fisse, come la famosa raccomandazione di Milton Friedman di un tasso fisso di crescita dell’offerta di moneta o di quella del Professor Taylor per un insieme di regole anticicliche più accomodanti.[5] Altri dibattono se il target dell’inflazione o il target del reddito nominale sia una politica più semplice e realistica per la FED.[6] Tuttavia, nessuna di queste proposte è efficace quanto l’eliminazione totale dell’autorità monetaria e l’affidamento alle decisioni volontarie dei partecipanti al mercato nel determinare l’offerta di moneta ed i tassi di interesse. Un commodity standard, ad esempio, elimina anche la possibilità di un intervento del governo centrale nel sistema monetario. Se le regole sono meglio della discrezione, tuttavia la politica ottimale è quella di eliminare ogni margine di discrezionalità e di raggiungere uno standard monetario che è del tutto indipendente dalle interferenze politiche o tecnocratiche.

 

Le Performance della FED Prima e Dopo il 2008

Le mie opinioni personali sulla teoria e politica monetaria derivano dalla “Scuola Austriaca” di Ludwig von Mises, F.A. Hayek, Murray N. Rothbard e altri importanti studiosi e analisti.[7] Da questo punto di vista, la causa della bolla immobiliare non è stata l’esuberanza irrazionale, l’avidità corporativa o la mancanza di regolamentazione, ma la politica monetaria molto espansionistica della FED sotto Greenspan e Bernanke.[8] Dopo il crollo delle dot-com la FED ha acceso la stampante, aumentando la base monetaria del 5.6% nel 2001, 8.7% nel 2002 e 6.3% nel 2003, mentre MZM è aumentato del 15.7%, 13.0% e 7.3% negli stessi anni. Greenspan ha ridotto il tasso di sconto dal 6.5% nel Gennaio 2001 all’1% nel Giugno 2003, tenendolo all’1% fino alla fine del 2004, un livello mai visto sin dal 1954. Questa infusione di credito ha portato a un sovrainvestimento nel settore immobiliare e in altri settori ad alta intensità di capitale, con l’aiuto delle politiche governo volte ad aumentare il tasso di possesso di case abbassando i requisiti degli standard dei finanziamenti.[9]

La risposta corretta al crollo di Lehman Brothers il 16 Settembre 2008 e della Washington Mutual dieci giorni più tardi, sarebbe stata quella di lasciare che queste istituzioni insolventi fallissero e di incoraggiare una massiccia riduzione della leva finanziaria e un incremento del risparmio e degli investimenti. Una crisi economica rappresenta una cattiva allocazione delle risorse produttive e la risposta politica migliore è quella di consentire agli operatori di riorientare le risorse da usi valutati bassi verso altri migliori. In breve, una volta che gli investimenti si rivelano degli errori, è fondamentale consentire al mercato di liquidare gli investimenti improduttivi il più rapidamente possibile per rendere le risorse disponibili per altri scopi.[10] Certo, le risorse materiali e quelle umane non possono essere immediatamente e senza costi riassegnate ad usi alternativi. Tuttavia, le parti contraenti dovrebbero essere autorizzate a rinegoziare l’uso delle risorse, senza l’interferenza delle banche centrali. I meccanismi esistenti per liquidare gli investimenti e le organizzazioni esistenti, come la bancarotta, dovrebbero essere utilizzati laddove opportuno.

La FED, lavorando mano nella mano con il Dipartimento del Tesoro sotto l’amministrazione Bush e Obama, ha fatto esattamente il contrario, salvando istituzioni finanziarie e imprese industriali insolventi, guidando i tassi di interesse a zero e iniettando biliardi di dollari nel sistema finanziario — aumentando la base monetaria, per esempio, di una media del 33.7% l’anno tra il 2008 e il 2012, un aumento complessivo del 198%. In breve, la filosofia della FED è stata quella di impedire, per quanto possibile, agli imprenditori di liquidare eventuali investimenti improduttivi — anzi, perpetuare tali investimenti improduttivi il più a lungo possibile. Le istituzioni finanziarie insolventi, piuttosto che passare attraverso il fallimento e la riorganizzazione, con i dirigenti di scarso rendimento sostituiti da quelli migliori, hanno ricevuto miliardi di dollari di denaro gratuito. I dirigenti incompetenti rimangono alla guida.

La Fed ha troppo potere

Chi difende la Fed riconosce che le sue azioni recenti sono controverse. Ma, ci dicono, fa parte della sua natura. Qualcuno deve farsi carico del sistema monetario e durante una crisi i leader devono compiere decisioni sofferte. Se non sono il Presidente della Fed e il suo staff – persone intelligenti, competenti ed economisti esperti – chi altri? Chi meglio di Ben Bernanke, distinto macroeconomista di Princeton?

L’economista Lawrence Ball ha scritto un saggio interessante nel febbraio di quest’anno riguardo la psicologia del presidente della Fed. [11] Ball ha tracciato l’evoluzione del pensiero di Bernanke tra il 2000 ed il 2012, ragionando che, a partire dal 2008, “Il Bernanke a capo della Fed scartato le politiche che l’altro Bernanke aveva una volta supportato.” Ball attribuisce questo cambiamento nel modo di ragionare di Bernanke alle dinamiche del pensiero di gruppo e alla sua personalità, che Ball descrive come timida, chiusa e discreta.

Senza volerlo, Ball ha sollevato delle critiche molto potenti contro le politiche monetarie discrezionali stesse, che fanno affidamento a un piccolo, gruppo elitario di potenti tecnocrati, rappresentanti dei gruppi di interesse e consulenti politici per stabilire e implementare regole e procedure che hanno effetto sulle vite di milioni di persone, che premiano alcuni (banche commerciali e di investimento, proprietari di case) e puniscono altri (risparmiatori, affittuari), che modello il corso della storia mondiale. Sotto il sistema a banca centrale non esistono regole, solo discrezionalità. Veramente vogliamo un sistema in cui la personalità di un solo uomo ha un effetto così grande sull’economia globale?

Certamente, insistono i difensori della Fed. È vitale che la Fed non sia influenzata in nessun modo dal seguire le politiche che ritiene migliori. I funzionari della Fed sono considerati allo stesso modo dei re filosofi di Platone. Quando un gruppo di distinti economisti nel 2008 espresse critiche riguardo ciò che doveva diventare il Troubled Asset Relief Program (TARP)- il salvataggio governativo delle inefficienti e mal dirette società finanziarie, Gregory Mankiw, professore di Harward, offrì la risposta che segue:

Conosco bene Ben Bernanke. Ben è almeno tanto intelligente quanto ognuno degli economisti che hanno firmato quella lettera o che stanno criticando questa proposta dalle pagine editoriali di giornali e blog. Lo staff della Fed include alcuni dei migliori economisti politici in giro per il mondo. Nella sua carica di Presidente della Fed, Ben comprende la situazione…. Se fossi un membro del Congresso, siederei al fianco di Ben, privatamente, e gli chiederei il suo onesto parere. Se pensa che [il bailout] è la cosa giusta da fare, metterei da parte le mie critiche e seguirei il suo consiglio. [12]

Difficilmente si può immaginare una prospettiva più pericolosa riguardo a come prendere una decisione governativa. Ignora le differenze teoriche tra, diciamo, keynesiani, austriaci, monetaristi, neoclassici e altri economisti. Ignora le differenze nell’interpretazione dei dati, che è una materia di giudizio, non di intelligenza. Ignora la possibilità che i decisori chiave, tra cui i funzionari della Fed o del Tesoro, possano avere conflitti di interesse. E ovviamente ignora le preoccupazioni normative – alcuni cittadini potrebbero opporsi al fatto che si premino manager incompetenti con denaro pubblico, indipendentemente dalle conseguenze riguardo l’efficienza. Più generalmente, il ragionamento di Mankiw potrebbe applicarsi ad ogni forma di pianificazione centrale da parte del governo. Perché dovremmo servirci dei mercati, se possiamo far allocare le risorse da un gruppo di pianificatori intelligenti e ben informati?

Purtroppo, Mankiw non è da solo nel sostenere questo modo di pensare. [13] È l’assunzione filosofica implicita nell’istituzione di una Banca Centrale. E, per esserne certi, “Ben” ha fatto esattamente ciò che non andava fatto. Contrariamente al racconto popolare per cui la Fed e le altre banche centrali hanno prevenuto una catastrofe finanziaria e hanno reso la Grande Recessione meno dolorosa di quanto avrebbe potuto essere, le azioni della Fed in realtà non hanno fatto altro che peggiorare una situazione già pessima, perpetuando quegli squilibristrutturali che avevano causato la recessione in primo luogo. Il problema con l’economia americana di oggi non ha nulla a che fare con una carenza nella domanda aggregata, come piace tanto dire agli economisti keynesiani, ma a molto a che vedere con gli squilibri strutturali causati da due decadi di credito a buon mercato – squilibri che la Fed sta cercando duramente di rendere permanenti (ad es. mantenendo il tasso di sconto vicino allo zero e promettendo di tenerlo a quei livelli almeno fino alla fine del 2014). A non serve dire che qui il problema non è il Presidente Bernanke ma il dilemma senza soluzione che deve affrontare chiunque sia seduto su quella poltrona.

L’indipendenza della Fed

 Nel 2009 un gruppo di economisti ha fatto circolare una petizione in supporto “dell’indipendenza” della Federal Reserve contro il tentativo del Congresso di esercitare una qualche forma di controllo e supervisione. [14] L’idea che la Fed debba essere indipendente da influenze esterne e non debba essere soggetta ad audit, controllata o supervisionata in modo serio è diventato un mantra delle politiche macroeconomiche contemporanee. Ma deve essere contestata. Ho rifiutato di firmare quella petizione per due ragioni:

In primo luogo chi propone l’indipendenza della Fed lo fa esclusivamente riguardo la politica monetaria, come se i critici della Fed che siedono al Congresso fossero preoccupati di conoscere come viene deciso il tasso di sconto. La Fed, però, non si occupa solo di politica monetaria ma anche di politica fiscale, particolarmente a partire dal 2008. Se la Fed può comprare e tenere in portafoglio qualsiasi asset che desidera, [15] se lavora fianco a fianco con la Casa Bianca e il Tesoro per coordinare il salvataggio per cifre nell’ordine di centinaia di miliardi di dollari, se facilità deficit pubblici nell’ordine di biliardi di dollari comprando tutti i titoli di debito che il governo federale vuole piazzare, non è ragionevole chiedere che via sia una supervisione? (E non dimentichiamo la supervisione del sistema bancario. Anche chi difende la Fed riconosce la necessità di separare i due ruoli di supervisione da quello di decisione della politica monetaria. Ma finché la Fed continua a fare il regolatore delle banche, non dovrebbe esserci qualcuno a controllare il controllore?)

In secondo luogo, e più generalmente, la Fed è un’agenzia nazionale di pianificazione economica e ha le stesse performance di tutte le agenzie centrali di pianificazione economica nella storia. Non abbiamo imparato nulla dal collasso della pianificazione centrale del blocco sovietico, il suo fallimento in Cina e la sua stretta oppressiva in posti come la Nord Corea?

“indipendenza,” in questo contesto, significa semplicemente l’assenza di influenze esterne. Non ci sono incentivi all’efficienza, né supervisione, né controllo. Non c’è un giudizio esterno. Perché dovremmo aspettarci che un’organizzazione che opera in questo ambiente possa migliorare la performance economica del paese? La Fed è fatta di uomini, non di dei.

Chi sostiene l’indipendenza ragiona che il Congresso o altri organismi di supervisione possano fare pressione perché la Fed segua obiettivi di breve termine (aumentare la domanda) alle spese di quelli di lungo (controllare l’inflazione). [16] Ma questi ragionamenti ignorano ciò che gli economisti, seguendo Ronald Coase e Harold Demsetz, chiamano “analisi istituzionale comparata.” [17] Ovviamente ci sono pericoli potenziali associati alla supervisione del Congresso, ma anche benefici potenziali legati a una governance più stretta e maggiore trasparenza. Per esempio, rendere la politica monetaria (e le altre azioni controverse della Fed come il salvataggio di banche centrali straniere) aperta allo scrutinio del Congresso potrebbe mettere pressione alla Fed perché persegua obiettivi di breve termine, ma sotto il sistema attuale, la Fed può effettuare scommesse da biliardi di dollari senza nessun monitoraggio o feedback. Sfortunatamente l’analisi costi-benefici viene prontamente dimenticata quando si parla della Fed.

Consideriamo la difesa di Mark Thoma dell’indipendenza della Fed:

La speranza è che una Fed indipendente possa resistere alla tentazione di usare la politica monetaria per influenzare elezioni e anche resistere alla tentazione di monetizzare il debito e fare ciò che è meglio per l’economia nel lungo termine, invece di adottare politiche che massimizzano le possibilità che i politici in carica siano rieletti. [18]

Questo desiderio così ingenuo è semplicemente una speranza. Dove ci sono le prove e le dimostrazioni che una Fed non soggetta a controlli passa, nei fatti, “fare ciò che è meglio per l’economia nel lungo termine?” Quali sono gli incentivi perché i funzionari della Fed si comportino in questo modo? Quale meccanismo di controllo e governance può assicurare che i funzionari della Fed perseguano l’interesse collettivo? E se avessero dei loro interessi privati? Forse sono influenzati da un’ideologia. Supponiamo che commettano sistematicamente degli errori. Forse sono stati eccessivamente influenzati dall’industria bancaria o da altri gruppi di interesse. Per dimostrare la necessità di indipendenza della Fed non è sufficiente mostrare i potenziali pericoli dati dalla supervisione politica; bisogna anche dimostrare che questi pericoli sono maggiori di quelli di una banca centrale non soggetta a supervisione e libera da ogni controllo e restrizione. Una fede ingenua nel fatto che i banchieri centrali faranno, nella loro saggezza, ciò che è meglio non è sufficiente.

Abbiamo bisogno di una Banca Centrale?

Senza una banca centrale, come funzionerebbe un sistema monetario? Non abbiamo bisogno di una banca centrale che garantisca riserve bancarie? Non è la Fed necessaria per mantenere la stabilità dei prezzi? Non abbiamo bisogno del governo al fine di creare e regolamentare la moneta? In realtà è vero il contrario.

Una delle prime analisi scientifiche sulla natura e l’origine della moneta, il saggio del 1892 di Carl Menger “Sull’Origine della Moneta”, spiega come quest’ultima – un mezzo di scambio generalmente accettato – emerge dagli schemi economici degli attori commerciali. [19] Menger stava sfidando l’allora dominante “teoria statalistica della moneta”, che sostiene come la moneta debba essere creata, dal nulla, da pianificatori centrali saggi e giusti. Piuttosto, come decenni di ricerche di teoria e storia monetaria hanno dimostrato, non c’è bisogno della partecipazione del governo nel sistema monetario e finanziario.

La moneta – sia essa un bene come l’oro o l’argento o il suo equivalente cartaceo – è essenzialmente una merce che è selezionata e “governata”, per così dire, dalle scelte degli imprenditori e dei consumatori nel mercato. Questo è vero oggi, in un’era di moneta cartacea e pagamenti elettronici, così come lo  era durante il gold standard internazionale.

Non c’è bisogno di un’agenzia governativa che aumenti o diminuisca l’offerta di moneta. Effettivamente, secondo la Scuola Austriaca, i tentativi governativi di controllare l’offerta di moneta creano distorsioni nell’economia, interferendo con i prezzi relativi e distorcendo la struttura del capitale, incoraggiando, così, malinvestimenti che si manifestano durante il ciclo economico. Piuttosto, il valore della moneta dovrebbe essere determinato dal mercato, come parte del normale e quotidiano processo di scambio tra moneta e beni e servizi.

Come, allora, è mantenuta la stabilità dei prezzi? La risposta è che l’economia non ha bisogno di prezzi “stabili”, ma solo di prezzi di mercato. Alcune delle proposte discusse in questa udienza suggeriscono di rimuovere l’espressione “massima occupazione” dalla Legge sulla Federal Reserve, mantenendo soltanto la parte sulla “stabilità dei prezzi”. Eliminare il mandato duale rappresenterebbe un passo nella giusta direzione, poiché ridurrebbe gli incentivi della Fed ad aumentare l’offerta di moneta quando il tasso di disoccupazione cresce oltre determinati paletti arbitrariamente fissati. Ma anche la stabilità dei prezzi dovrebbe essere rimossa. L’idea che una banca centrale sia necessaria per mantenere uno stabile o appena crescente livello dei prezzi – al fine di prevenire alti livelli di inflazione, in altre parole – è basata su un’incomprensione dell’inflazione. In un’economia in crescita, con un’offerta di moneta stabile o in leggero aumento (come sotto la vigenza di un sistema di moneta – merce), i prezzi tenderebbero a scendere, come fecero negli Stati Uniti durante il XIX secolo, quando gli Usa sperimentarono incredibili aumenti nella produzione e negli standard di vita. Il livello dei prezzi cresce poiché l’economia reale è in difficoltà o – come succede quasi sempre nella pratica – poiché l’offerta di moneta cresce più velocemente rispetto all’aumento della produzione reale. L’inflazione non è causata da un’economia “surriscaldata” che il governo deve, in qualche modo, raffreddare. L’inflazione, come spiegò Milton Friedman, è sempre e ovunque un fenomeno monetario. Le banche centrali non combattono l’inflazione; la  creano.

Ma non è importante che un’agenzia governativa abbia il controllo dei tassi di interesse, mantenendoli sufficientemente bassi al fine di generare crescita economica? Assolutamente no. I tassi di interesse sono prezzi, che aiutano a comprendere il mercato dei prestiti; aumentare l’offerta di moneta, nel tentativo di abbassare i tassi di interesse, può effettivamente dare all’economia un “boost” nel breve periodo, ma al costo di incanalare risorse in aree – edilizia ad esempio – in cui il mercato non voleva andassero. Portare i tassi al di sotto del livello di mercato non crea crescita economica ma solo distorsioni, rendendo più difficile agli imprenditori anticipare i beni e i servizi che i consumatori acquisteranno in futuro, e quindi minando la stessa possibilità di profitto. [20]

Le espansioni creditizie spostano ricchezza dai risparmiatori ai prestatari (e, in caso di mutui ipotecari, dagli affittuari ai proprietari), da progetti di investimento meno orientati temporalmente a quelli più influenzati dalla temporalità; e dagli ultimi che ricevono la nuova moneta ai primi.[21] In breve, le politiche monetarie, siano esse intenzionali o meno, eleggono vincitori e vinti, aumentano l’incertezza e distruggono ricchezza reale.[22] Non vogliamo un’agenzia governativa che determini i prezzi dei pomodori, delle scarpe, dei muletti o dei software per computer; perché dovremmo volerne una che imposti il prezzo dei prestiti?

E sul bisogno di un prestatore di ultima istanza? Anche i fautori della banca centrale riconoscono che le funzioni del prestatore di ultima istanza incoraggiano ciò che gli economisti chiamano “azzardo morale”: le banche prendono più rischi nel caso in cui esse non debbano sopportare le conseguenze delle loro decisioni economiche e finanziarie. La presenza di una banca centrale, armata di un’offerta infinita di “liquidità” e pronta a fornirla a qualsiasi banca ne abbia bisogno, scoraggia comportamenti prudenti.[23]

Diamond e Rajan collegano la crisi finanziaria a:

Le azioni della Fed agli inizi del decennio, non solo convinsero il mercato a credere che i tassi sarebbero rimasti bassi per un lungo periodo, a seguito della bolla informatica e della susseguente paura di deflazione, ma indussero a generare l’affidamento su un eventuale intervento in caso di crollo dei prezzi delle attività – la cosiddetta “opzione Greenspan”. [24]

Più in generale, un’economia di mercato dinamica e creatrice di ricchezza poggia sul potere della concorrenza – ciò che Joseph Schumpeter chiamava “distruzione creativa – ordinando tra bassi e alti utilizzi valoriali delle risorse, tra cui la sostituzione delle imprese meno efficienti con i loro più efficienti rivali. Il settore bancario non è diverso. Se una banca, come qualsiasi altra impresa, non può produrre con profitto beni e servizi che i suoi clienti richiedono, dovrebbe essere liquidata e le sue attività messe a disposizione di altri imprenditori che siano capaci di migliorare la situazione. Salvataggi pubblici, sussidi e altre forme particolari di privilegi legali per imprenditori particolari, ostacolano il processo di mercato e la sua funzione di allocazione delle risorse verso gli utilizzi richiesti dai consumatori. Come Luigi Zingales ci ricorda, il prezzo dei salvataggi è costituito da “miliardi di dollari del contribuente e, ancora peggio, la violazione fondamentale del principio capitalista per cui chi incassa gli utili dovrebbe anche sostenere le perdite”. [25]

Oltre ai palesi salvataggi, gli incentivi impliciti nel “too big to fail” pongono ostacoli al processo di selezione imprenditoriale, premiando le attività di lobbismo e di ricerca di rendite, spostando gli investimenti verso le attività sussidiate (alle spese delle preferenze dei consumatori) e scoraggiando l’ingresso di imprenditori neonati mancanti di connessioni politiche.

Questi principi trovano piena applicazione nel settore bancario. Certo, le imprese finanziarie sono collegate attraverso complesse transazioni e strumenti, come derivati e altri contratti. Il fallimento di una determinata istituzione finanziaria impone costi su varie controparti, comprese diverse istituzioni finanziarie. Ma, praticamente, la produzione di tutti i beni e servizi, in un’economia industriale matura, è caratterizzata da una complessa e interconnessa rete di transazioni, obbligazioni reciproche e relazioni contrattuali; l’attività bancaria non fa differenza. Eppure non ci preoccupiamo troppo dell’effetto contagio attraverso il quale la chiusura di un’impresa informatica, di un negozio di abbigliamento o di un caseificio trascina dietro di sé una o diverse attività imprenditoriali. Inoltre, la misura in cui le parti espongono sé stesse ai rischi potenziali delle controparti, nel settore bancario o in un’altra industria, dipende dalle protezioni offerte dal sistema regolatorio. Se un’impresa informatica sa che è troppo grande per fallire, o che avrà sempre fornitura di lavoro, macchinari e materie prime da parte di un “fornitore di risorse di ultima istanza”, quell’impresa si avventurerà in progetti e comportamenti rischiosi che, altrimenti, avrebbe evitato.

Alternative alla Banca Centrale

Molti studiosi e professionisti supportano il sistema della Federal Reserve, e più in generale la necessità di una banca centrale, poiché non concepiscono alternativa alcuna. “Se ci liberassimo della Fed”, chiedono, “chi controllerebbe l’offerta di moneta?”. Sicuramente porre la domanda in questo modo implica già la risposta: il mercato controllerebbe l’offerta di moneta, proprio come “controlla” l’offerta di pomodori, di scarpe, di muletti e videogiochi.

Il modo esatto in cui un sistema monetario funzionerebbe, la forma precisa che esso assumerebbe e la transizione da un sistema governativo a uno di mercato sono materie importanti che hanno stimolato grandi dibattiti accademici e fatto versare litri d’inchiostro.[26] La maggior parte dei proponenti di una moneta di mercato preferiscono una moneta merce, sebbene monete cartacee in concorrenza siano state suggerite pure. [27]

Tutti questi sistemi hanno il vantaggio fondamentale di togliere il valore della moneta dalla mani dei pianificatori centrali, permettendo ad essa di essere determinata dalla legge della domanda e dell’offerta, come qualsiasi altro bene e servizio in un’economia di mercato.

Un altro vantaggio di un sistema a moneta merce è che impedisce alla banca centrale di monetizzare il debito pubblico attraverso l’acquisto di obbligazioni governative (riducendo i pagamenti attraverso la continua inflazione). Nell’interesse della trasparenza, è molto meglio richiedere al governo federale che finanzi la sua spesa attraverso la tassazione o il prestito dal pubblico. Questo non restringerebbe la capacità governativa di “stimolare” l’economia con aumenti di spesa durante periodi di recessioni? Esatto, è proprio questo il punto – la moneta merce impone disciplina fiscale, qualcosa di cui l’economia americana ha disperatamente bisogno. Tale disciplina salverebbe gli imprenditori dai voleri imprevedibili e spesso arbitrari dei pianificatori monetari, lasciandoli liberi di investire, innovare e creare crescita economica – non solo nel lungo periodo, ma anche nel breve.

Conclusioni

C’è una vecchia barzelletta su un dipendente della banca centrale che ordina una pizza (forse si tratta del Presidente Bernanke sulla strada verso casa, dopo una lunga giornata di quantitative easing). L’addetto chiede: “Vuole che gliela taglio in sei o otto pezzi?” – il banchiere centrale risponde: “oggi sono iper affamato: meglio otto”.

Certamente, dividere l’ammontare di beni e servizi per una maggiore quantità di moneta non crea ricchezza. Una delle più importanti lezioni economiche è quella per cui il solo modo di generare crescita economica è consumare meno di quanto prodotto; il surplus (risparmi reali) può essere investito nella produzione di beni capitali (e innovazione) che permettono una produzione maggiore in futuro. Al contrario, uno dei più vecchi errori economici è costituito dall’idea per la quale l’economia, a volte, si “blocca” con bassa produzione e alta disoccupazione, a causa di una carenza di moneta, quindi il solo modo per sbloccarla è iniettare nuova moneta al fine di aumentare la “spesa totale” – consumando più di quanto l’economia produce. Circa 60 anni fa Ludwig von Mises ridicolizzò questa idea etichettandola come “filosofia del droghiere” (per il quale i suoi prodotti rimangono invenduti a causa di una carenza di valuta dei suoi clienti), facendo notare come questo errore costituisca, essenzialmente, la filosofia di Lord Keynes, l’apostolo novecentesco del sistema a banca centrale e della politica di stabilizzazione macroeconomica.

Keynes si sbagliava. Il credito a basso costo non aiuta a portare l’economia fuori dalla recessione (specialmente quando è stato proprio esso a causare la recessione, in prima battuta). Più in generale, un sistema monetario controllato da una banca centrale con pieni poteri è intrinsecamente destabilizzante e dannoso per la crescita economica. Gli errori compiuti dalla Fed prima e dopo il 2008 non rappresentano incidenti isolati, sbagli che possono essere corretti attraverso piccole modifiche dello statuto, della struttura o dell’indipendenza della Fed: esse sono il risultato prevedibile del controllo del sistema monetario e finanziario da parte di un’agenzia governativa. L’opzione migliore è quella di sostituire la banca centrale e lasciare che sia il mercato a governare la moneta.

La posizione qui sostenuta è spesso considerata radicale o estrema, una sorta di “fondamentalismo del mercato”. Ma è una visione ragionevole, pragmatica, realistica. La dottrina economica insegna come i fornitori monopolistici siano inefficienti e inefficaci, un’agenzia governativa monopolistica del denaro non fa differenza. I mercati non sono perfetti, ma neanche i presidenti della Fed lo sono. È tempo di rendere l’offerta di moneta indipendente dall’interferenza politica.

Testimonianza davanti ala US House Committee on Financial Services Domestic Monetary Policy and Technology Subcommittee, 8 Maggio 2012

Di Peter G.Klein su Mises.org

Traduzione di Francesco Simoncelli, Marco Bollettino e Luigi Pirri

Note

[1] Peter G. Klein, Joseph T. Mahoney, Anita M. McGahan, and Christos N. Pitelis, “Toward a Theory of Public Entrepreneurship,” European Management Review 7 (2010): 1-15.

[2] H.R. 245 and H.R. 4180, rispettivamente. Alcuni osservatori parlano di “triplo mandato” che richiede anche “interessi di lungo termine moderati”.

 [3] Ludwig von Mises, “Economic Calculation in the Socialist Commonwealth” [1920], in Hayek, ed., Collectivist Economic Planning (London: Routledge and Sons, 1935); F.A. Hayek, “Economics and Knowledge,” Economica NS 4(13): 33–54; Hayek, “The Use of Knowledge in Society,” American Economic Review 35(4): 519–30.

[4] Anthony Downs, Bureaucratic Structure and Decision-making. Rand Corporation: Santa Monica, Calif.: 1966; William A. Niskanen, Bureaucracy in Representative Government. Aldine-Atherton: New York, 1971); Peter G. Klein, Joseph T. Mahoney, Anita M. McGahan, and Christos N. Pitelis, “Capabilities and Strategic Entrepreneurship in Public Organizations,” Strategic Entrepreneurship Journal, forthcoming.

[5] Milton Friedman, A Program for Monetary Stability (New York: Fordham University Press, 1960); John B. Taylor, “Discretion versus Policy Rules in Practice,” Carnegie-Rochester Conference Series on Public Policy 39 (1993): 195–214.

[6] Christina D. Romer, “Dear Ben: It’s Time for Your Volcker Moment,” New York Times, October 29, 2011.

[7] Ludwig von Mises, The Theory of Money and Credit (New Haven: Yale University Press, [1912] 1953); F.A. Hayek, Prices and Production (London: Routledge & Sons, 1931); Murray N. Rothbard, America’s Great Depression (Princeton, N.J.: D. Van Nostrand, 1963); Douglas W. Diamond and Raghuram G. Rajan, “Illiquidity and Interest Rate Policy,” NBER Working Paper No. 15197, July 2009.

[8] Il sistema monetario e finanziario è uno dei settori più regolamentati dell’economia americana e non c’è stata nessuna “deregulation” sin dalla legge Gramm-Leach-Billey del 1999, che se ha fatto qualcosa, ha mitigato i danni della crisi finanziaria permettendo acquisizioni, come quella di Bear Stearns da parte di JP Morgan Chase e di Merril Lynch da parte di Bank of America, che hanno protetto i creditori dalle perdite.

 [9] Marek Jarocinski and Frank R. Smets, “House Prices and the Stance of Monetary Policy,” Federal Reserve Bank of St. Louis Review (July 2008): 339–66; Stanley J. Liebowitz, “Anatomy of a Train Wreck: Causes of the Mortgage Meltdown,” in Randall G. Holcombe and Benjamin Powell, eds., Housing America: Building Out of a Crisis (Oakland, Calif.: Independent Institute, 2009); Johan Norberg, Financial Fiasco: How America’s Infatuation with Home Ownership and Easy Money Created the Economic Crisis (Washington, D.C.: Cato Institute, 2009).

[10] Rajshree Agarwal, Jay B. Barney, Nicolai Foss, and Peter G. Klein, “Heterogeneous Resources and the Financial Crisis: Implications of Strategic Management Theory,” Strategic Organization 7, no. 4 (2009): 467–84.

[11] Lawrence M. Ball, “Ben Bernanke and the Zero Bound,” NBER Working Paper No. 17836, February 2012.

[12] N. Gregory Mankiw, “If I Were a Member of Congress,” Greg Mankiw’s Blog, September 26, 2008.

[13] Alan Blinder ha recentemente liquidato i timori di inflazione come risultato del massiccio incremento dell’offerta di moneta a partire dal 2008: “per creare la terribile inflazione che i critici più estremisti hanno in mente, la Fed dovrebbe essere incredibilmente incompetente e non lo è.”

 [14] “Petition for Fed Independence,” Wall Street Journal, July 15, 2009.

[15] Anche se la Fed di solito tiene in portafoglio i treasuries, è legalmente permesso sotto la Section 13(3) of the Federal Reserve Act che acquisti altri asset sotto “circostante inusuali e urgenti,” un provvedimento che è stato sfruttato liberalmente dalla Fed di Bernanke. Vedi Christian A. Johnson, “Exigent and Unusual Circumstances: The Federal Reserve and the U.S. Financial Crisis,” European Business Organization Law Review (forthcoming).

[16] Vedi, per esempio, Anil K. Kashyap and Frederic S. Mishkin, “The Fed Is Already Transparent,” Wall Street Journal, November 9, 2009.

[17] Ronald H. Coase, “The Regulated Industries: Discussion,” American Economic Review 54 (1964): 194–97; Harold Demsetz, “Information and Efficiency: Another Viewpoint,” Journal of Law and Economics 12, no. 1 (April 1969): 1–22.

[18] Mark Thoma, “Why The Federal Reserve Needs To Be Independent,” CBS Moneywatch, November 12, 2009.

[19] Carl Menger, “On the Origin of Money,” Economic Journal 2 (1892): 239–55; Peter G. Klein and George A. Selgin, “Menger’s Theory of Money: Some Experimental Evidence,” in John Smithin, ed., What Is Money? (London: Routledge, 2000), pp. 217–34.

[20] Nella terminologia misesiana, l’espansione del credito che abbassa i tassi di interesse, aumenta il livello dei prezzi e altera i prezzi relativi “distorce il calcolo economico.” Ludwig von Mises, Human Action: A Treatise on Economics (New Haven: Yale University Press, 1949), pp. 549 and 553.

[21] Mark Spitznagel, “How the Fed Favors the 1%,” Wall Street Journal, April 19, 2012.

[22] Robert A. Higgs, “Regime Uncertainty: Why the Great Depression Lasted So Long and Why Prosperity Resumed after the War,” Independent Review 1, no. 4 (1997): 561–90; Scott R. Baker, Nicholas Bloom, and Steven J. Davis, “Measuring Economic Policy Uncertainty,” Working paper, Chicago Booth School of Business, 2011.

[23] Programmi con il Troubled Asset Relief Program sono forme di welfare per le corporation che redistribuiscono risorse dalle istituzioni finanziarie più prudente – per esempio le banche che erano rimaste fuori dal mercato delle mortgage-backed securities — a quelle più avventate.

[24] Diamond and Rajan, p. 33.

[25] Luigi Zingales, “Why Paulson Is Wrong,” VoxEU, September 21, 2008.

[26] Murray N. Rothbard, “The Case for a 100 Per Cent Gold Dollar,” in Leland Yeager, ed., In Search of a Monetary Constitution (Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 1962), pp. 94–136; Friedman, A Program for Monetary Stability, pp. 4–8; George A. Selgin and Lawrence H. White, “How Would the Invisible Hand Handle Money?” Journal of Economic Literature 32, no. 4 (1994): 1718–49; Rothbard, The Case Against the Fed (Auburn, Ala.: Ludwig von Mises Institute,1994), pp. 146–51.

[27] F.A. Hayek, Denationalization of Money. London, Institute of Economic Affairs, 1974.

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